Sabato 29 Marzo ore 21.00
Domenica 30 Marzo ore 17.00
GIANGURGOLO. Principe di Danimarca
Tratto dall’AMLETO di W. Shakespeare
Regia e adattamento – Max Mazzotta
Personaggi ed interpreti
Giangurgolo Francesca Gariano
Zio Pantalone Merusca Vera Staropoli
Bruzio e Dottor Pollone Francesco Aiello
Taliano e Spettro Paolo Mauro
Ofella e Pancrazio Graziella Spadafora
Aiuto regia - Organizzazione Iris Balzano; Costumi Merusca Staropoli;
Scenografia Gianluca Salamone; Responsabile tecnico – Consolle luci Gennaro Dolce;
Responsabile Teatro Scuola Francesca Gariano; Graphic Designer Gianluca D’Andrea
Note di Regia
Sicuramente le maschere calabresi non hanno goduto della fama e risonanza, teatrale e letteraria, di figure quali Arlecchino o Pulcinella; ciononostante, anche la tradizione teatrale calabrese ha prodotto personaggi che, come i più illustri omologhi veneziani, bergamaschi o bolognesi, rappresentano una traccia viva e significativa della cultura di appartenenza.
Agli inizi del ‘700 faceva la sua comparsa, nelle piazze dei paesi e delle città, il personaggio di Giangurgolo, maschera calabrese il cui nome è indicativo del suo carattere; secondo alcuni, infatti, deriverebbe da Giovanni Boccalarga, nomignolo irrisorio rivolto in particolare ai dominatori spagnoli. Unisce dunque i tratti tipici dello Zanni, la sua vocazione agli scherzi e la sua doppia valenza di servo astuto o sciocco, con quelli del Gurgolo, spaccone, cialtrone e ingordo. I suoi caratteri principali sono la sbruffoneria, una spavalda aggressività che nasconde in realtà la sua profonda vigliaccheria, la sua cialtronesca vocazione alle chiacchiere e, soprattutto, la sua fame insaziabile.
Il personaggio di Giangurgolo, come la quasi totalità delle maschere della commedia dell’arte, veniva rappresentato spesso e principalmente in strada, sulla base di canovacci appena accennati che lasciavano grande spazio alla capacità di improvvisazione dell’attore, provocando il riso e il divertimento del pubblico attraverso la comicità dei lazzi e l’irrisione dei notabili e dei potenti che Giangurgolo incarnava.
Non essendo a noi pervenuta traccia di canovacci e trame classiche che prevedano la presenza del nostro, due sono le strade per riportare sulla scena Giangurgolo ai giorni nostri: scrivere un canovaccio ex-novo, misurandosi con il cambiamento del gusto nel pubblico in cinque secoli di evoluzione del teatro; oppure, immaginare il personaggio di Giangurgolo immerso in un contesto a lui completamente estraneo, e proprio per questo estremamente stimolante dal punto di vista creativo.
E cosa può essere più estraneo alla personalità di Giangurgolo, alla sua cialtroneria e intrinseca non-nobiltà, se non la più nobile delle espressioni teatrali, la tragedia? E quale tragedia è più nobile di quella di William Shakespeare? Può Giangurgolo vestire i panni del più tragico e nobile degli eroi shakespeariani, Amleto?
Proporre una rilettura dell’Amleto contaminata dalla commedia dell’arte, quindi necessariamente in chiave parodistica, è sicuramente una operazione rischiosa e difficile, ma che offre innumerevoli spunti; se Amleto è maschera, allora anche gli altri personaggi possono essere maschere grottesche. Re Claudio, con un po’ di fantasia, non è poi così distante dall’avaro Pantalone, così come Polonio possiede la stessa verbosità e prosopopea del dottor Balanzone. Anche l’elaborazione del testo, trasposto linguisticamente e geograficamente in una Calabria immaginaria ma non troppo, offre occasioni di gioco e sperimentazione che possono risultare sorprendenti.
La riproposizione in chiave comico-parodistica del racconto dell’Amleto, introduce lo spettatore ai temi della tragedia shakespeariana sfruttando le corde del grottesco e del riso liberatorio; meccanismo reso ancora più efficace dalla caratterizzazione dei personaggi per mezzo dei diversi dialetti, che annullano la distanza fra pubblico e palcoscenico, rendendo gli eventi che accadono sulla scena riconoscibili e godibili anche ai giovanissimi.
Il valore aggiunto di “Giangurgolo, principe di Danimarca” è nella straordinaria ricchezza del linguaggio teatrale, che si serve contemporaneamente della forza espressiva delle maschere, della pantomima, del canto e della musica dal vivo.
Max Mazzotta